70-Ebe
L’abate Giovan Battista Canova – fratello del celebre scultore Antonio – dona l’Ebe in gesso all’erudito conte reatino Angelo Maria Ricci, all’indomani della morte dell’artista. L’Ebe, dal passo non affrettato, dal gesto delicato delle braccia tese verso lo spettatore, dal volto perfetto e volutamente inespressivo, dal morbido panneggio appena sollevato da una brezza soave, è ricca di suggestioni classiche nelle fitte pieghe della veste e di richiami alla ritrattistica romana per l’acconciatura. La statua assolveva alla sua funzione di opera d’arte da contemplare, infatti, la giovane ed eterea dea incarnava il simbolo dell’eterna giovinezza. Per questo il soggetto fu particolarmente in voga e largamente trattato dagli artisti neoclassici. La “prima” statua rappresentante Ebe, fu realizzata dal Canova nel 1796 per Vivante Albrizzi di Venezia e ritrae la dea mentre versa l’ambrosia. In seguito all’incontrastato successo, come oggetto d’arredamento nelle case patrizie, in particolare nelle sale da pranzo, fu seguita da altri tre esemplari marmorei tra cui quello da cui deriva l’esemplare reatino. Le versioni canoviane furono essenzialmente due e si discostavano una dall’altra per la diversità della base su cui poggia il corpo eretto della dea: più sobria e “neoclassica” la forlivese, e perciò rispettosa della lezione degli antichi, che utilizza come appoggio il tradizionale tronco d’albero; troppo fantasiosa, secondo il gusto dell’epoca, quella su basamento a forma di nuvola. Era noto che il Canova, nella sua organizzatissima bottega-officina, realizzava copie in gesso dai suoi capolavori di marmo per poi venderle, legittimamente, come pezzi autentici e l’autenticità di questo gesso è testimoniata nelle lettere tra Angelo Maria Ricci e l’abate Canova.
1817
Gesso
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